una notte qualsiasi, ma preferibilmente estiva. Primi anni ‘90.
L’enorme faccia di un Padre Pio orante e ostentante stigmate si spacca a metà quando il camionista apre le grosse portiere del rimorchio. Il cozzo sordo e metallico dei bidoni ha solennemente scandito ogni singolo dosso e fosso della fondovalle, costringendo infine il conducente alla sosta per un controllo del carico. Il corriere fissa di nuovo le cinghie, più strette, e riaccomoda gli imballaggi preposti a dividere i fusti e contenerne gli urti. Svolge l’operazione con disinvolta prudenza e con grossi guanti che ha imparato ad indossare ogni qual volta il simbolo identificativo sui bidoni sia quello di un trifoglio giallo e nero, un punto esclamativo, o pesci spiaggiati pancia all’aria sotto alberi stecchiti.
I camionisti – a dispetto di un diffuso pregiudizio su una presunta trivialità o barbarie – hanno molto tempo per pensare. E pensano, infatti.
Soprattutto di notte: cosmonauti nel loro cubicolo spaziale, perennemente tra il sonno e la veglia, agganciati alla sola luce della rotta che bisogna seguire senza sbandare, per andare, tornare; allucinati dall’intermittenza di stop, lampioni, abbaglianti; come sottoposti ad un’interminabile dream machine. E sognano e pensano.
{e anche la storia delle trattorie, che ti fermi se ci si fermano i camionisti perché si mangia bene e si paga poco, non è l’effetto di un giudizio fenomenico che si è fatto trascendentale ed è diventato uno stupefacente a priori? }
Il camionista che guida l’Iveco Turbostar con Padre Pio stampato sul rimorchio, pensa. Che a stretto rigore di logica, ad esempio, quei bidoni non dovrebbero essere sul suo Iveco Turbostar e non dovrebbero attraversare la statale di notte; non dovrebbero, poi, a norma di legge, neppure essere lasciati in una masseria che sorge su un terreno agricolo (che è esattamente la sua destinazione per questa notte e, a quanto pare, per molte altre notti a venire), perché si tratta di bidoni contenenti rifiuti speciali, alcuni dei quali radioattivi. Ma il sonno e lo stroboscopio del torpido traffico notturno della fondovalle rendono tutto un sogno leggero e sopportabile.
Sogna , dunque, e il suo non è affatto un sognare da zotici, anzi. Sogna che quei bidoni hanno il diritto di trovarsi sul suo camion almeno quanto ce l’ha Padre Pio. C’è infatti, nel cruscotto dell’Iveco Turbostar, un foglio di carta, che a monte ha molti altri fogli di carta, di cui rappresenta l’ultima decisiva filiazione. È una bolla di accompagnamento che autorizza al trasporto dei bidoni. Un foglio figlio di una serie di altri fogli: analisi chimiche, con i timbri dei laboratori e degli uffici sanitari; autorizzazioni, con i timbri degli uffici della Regione e del Comune. È questo foglio, insieme alla sua genealogia cartacea, a rendere lecito il trasporto di quei bidoni e il loro stoccaggio in una masseria. Ci è voluto un po’ per ottenere quei fogli, per transustanziare, almeno sulla carta, quei rifiuti speciali in qualcos’altro che si può conservare in una masseria agricola.
Anche per padre Pio c’è un foglio, figlio di molti altri fogli, con all’inizio il foglio di un postulante che chiede che un frate – considerato una truffa dal Papa in persona – venga considerato santo sulla base di miracoli, stigmate, apparizioni etc. C’è un foglio, figlio di molti altri fogli, su cui c’è scritto che Francesco Forgione, nato a Pietrelcina il 25 maggio 1887, può stare sul rimorchio di un Iveco Turbostar come quei fusti che contengono rifiuti tossici.
