ogni cuore è una bomba a orologeria

Il CRI* in Regione è una novità di recentissima installazione, apparso in maniera straordinariamente tempestiva rispetto all’ultimo decreto in fatto di irregolari e clandestini, poco a valle della diga, nella piana attraversata dalla statale amentina, luogo marginale per ragioni geografiche e per carenza di strade, con un aspetto complessivo da steppa est-europea da ottobre ad aprile e una nebbia che sale dal fiume ogni mattina e invita a costruire campi di concentramento

La struttura, composta da prefabbricati bassi e capienti, studiati in base al principio della saturazione e del risparmio economico, possiede un suo nitore formale se vista dall’esterno. Consiste in due enormi aree laterali, una per gli uomini e l’altra per le donne, ciascuna composta da quattro prefabbricati lunghi e stretti, sistemati in parallelo, della forma simile a quella di capannoni o hangar, ma mirabilmente bianchi e squadrati, completamente lisci, coperti sul tetto da pannelli solari e collegati tra loro da esili corridoi simili a capillari che sporgano dall’epitelio. A collegare le due magnifiche ali, come un modesto corpo di farfalla, vi è un edificio cilindrico dotato, sul dorso, di una torretta alta circa cinque metri, simile ad un faro, dal diametro talmente ridotto da sottintendere una salita tramite scala a chiocciola o ascensore. Dall’alto, l’aspetto generale della struttura ricorda quello della Stazione Spaziale Internazionale – e ciò anche per il suo essere circondata dal più cosmico nulla – ed è forse per questo motivo che il nome della cooperativa sorta per gestirne gli ospiti è “Stazione Futuro”. 

L’impianto, ampio ma dalla struttura leggera, è capace di nascondere un denso ammasso di corpi di uomini e donne, l’odore delle loro carni, dei vestiti, l’accumulo quotidiano delle loro deiezioni nei cessi, che sono pochi e saturi. Quell’involucro freddo e razionale, che sottrae alla vista esterna un malfido brulicare di essere umani afflitti e tormentati, rabbiosi derelitti imprigionati, assicura con i suoi spazi e sistemi di controllo che incidenti e sommosse rimangano cosa invisibile a tutto il nulla esterno e che, comunque, verso quel nulla nessuno possa fuggire, dal momento che la Stazione risulta completamente circondata da una massiccia recinzione elettrificata e da piccole squadre di polizia che ne pattugliano, seppure assai pigramente, il perimetro. 

La Prefettura assicura il massimo supporto a Stazione Futuro e alla Strepta®, la società privata vincitrice dell’appalto per la gestione dell’impianto, leader del settore per centri di detenzione e sistemi di sicurezza, o secondo la formula ufficiale dell’azienda, del ‘Facility Management in ambienti sensibili dove il livello di sicurezza richiesto, o dall’attività, o dagli occupanti, rappresenta una posta in gioco specifica’.

Nel caso di un CRI, si tratta, appunto, degli occupanti.

Prigionieri a tempo non precisato, mescolati in una bolgia eterogenea di anime, traviate o innocenti che siano. In tale piano di promiscuità tra ex detenuti e ex lavoratori, nella contiguità osmotica tra delitti e rettitudine, nella progressiva confusione tra le identità, tra clandestini nati e divenuti, nell’incomprensione profonda di ciò che si è stati e perché lo si debba scontare, si materializza l’estrema criticità dell’ambiente. 

In ciò la natura del CRI si rivela assai più problematica, in termini di sicurezza, di quella del carcere, il quale è un purgatorio che rende nota l’accusa e la pena e dal quale si esce a determinate scadenze e condizioni, con la vita a pezzi ma, almeno, il debito pagato; mentre un CRI non ha redenzione, non presenta condizioni di sconto o margini di trattativa possibili.

Il Facility Management sa bene il pericolo insito in tale tirannica mistura. Una detenzione che si consuma sotto logiche e tempi imperscrutabili, come una sospensione dell’esistenza con termine prorogabile, in cui si confondono diritti e doveri, colpe da espiare o la giustizia da invocare, e che infine ricaccia nel passato alla cui rimozione si è sacrificato tutto e che equivale spesso ad una condanna a morte, non è cosa banale da gestire. È una bomba innescata e ci si palleggia.

La posta in gioco specifica, in questa speciale macchina di supplizio – e definirla ‘inferno’, d’altronde, sarebbe scorretto, mancando anche di quella giustizia che è la logica vessatoria di Dio – è un’urgenza morale degli occupanti: scappare o morire, prima di essere riportati alla linea di partenza della propria infelicità.

Rivolte, fughe, autolesionismo, suicidi sono all’ordine del giorno. Le associazioni umanitarie entrano raramente. I giornalisti non entrano. All’ordine del giorno, ma non delle notizie del giorno.

La miscela confusa e fragile dei prigionieri può divenire materia consistente, addensata dall’odio; gli occupanti possono mutare in macchine ingovernabili o in un unico corpo in fuga, ribelle e autolesionista. E quando il corpo prende vita, è un corpo amputato e ricomposto, che spinge, taglia, preme con organi nuovi.

La posta in gioco specifica è la sicurezza dello Stato. 

Il Facility Management ha il mandato di gestire tutto ciò, correndo rischi calcolati, a beneficio di un principio di economia e risparmio. Sa bene come farlo. 

Ogni tanto la polizia entra, sia per aiutare gli operatori a fare la conta dei presenti, sia per appianare divergenze tra ospiti e personale. All’uopo, computi e scambi dialettici avvengano manganello alla mano. Ad ogni modo, la direttrice preferisce agire sulla prevenzione attraverso il personale medico, procedendo quotidianamente a massicce distribuzioni di sedativi atti a tutelare la salute e l’incolumità degli ospiti. Se qualcuno si suicida, la cosa viene giudicata, in generale, seccante, ma i rimpiazzi non si fanno attendere. 

Non che manchino cortesie e sorrisi, buone pratiche umane e talvolta vere premure, caldamente promosse dalla direttrice. Molti degli operatori sono giovani, ancora entusiasti di essere sfruttati pur di lavorare, coi sentimenti abbastanza elastici per resistere agli assalti dello stress lavoro-correlato, la faccia pulita e la vita miserabile al punto da farsi volere un po’ di bene dagli ospiti. C’è un campo coperto per giocare a pallavolo e uno per giocare a calcetto. Certe volte gli operatori giocano insieme con gli ospiti. Pranzo e cena a mezzogiorno e alle diciannove, per ragioni di sicurezza non in un logo comune, ma nelle camerate stesse.

La direttrice della struttura, la Dott.ssa Annalisa Lagonero, convoca ogni sera alle 19 gli impiegati del centro, per discutere l’andamento della giornata e l’organizzazione della successiva.

La pianificazione è essenziale per evitare che qualcosa, dall’interno della Stazione, turbi il nulla esterno. 

*Centro Raccolta Irregolari.