Nigeria, 12 settembre 2014.
C’è un ventilatore ogni due persone. Ogni linea di sedute contiene dodici persone.
Ogni colonna di sedute ha tre blocchi da dodici file di dodici linee.
Ci sono quattro colonne da quattrocentotrentadue sedute. Quattro come i Vangeli.
Ci sono millesettecentoventotto fedeli ordinatamente disposti in dodici blocchi da dodici sedute per dodici file. Dodici come gli apostoli.
Le quattro colonne di sedute sono disposte come raggi di un semicerchio e convergono verso il palco dove si trova un ministro della Sinagoga di Lagos.
Gli ottocentosessantaquattro ventilatori sono impostati su velocità moderata. Fanno sventolare caleidoscopici caftani, larghe giacche démodé a tinte pastello dotate di spalline, treccine inanellate in cerchietti d’ogni colore. Frusciano le enormi piante verdeggianti ed esotiche che separano le file e conferiscono all’enorme sala, arredata con lusso triviale, l’aspetto di un cafonesco eden artificiale con specchi, fontane, velluti, tende rococò, faretti, moquette, lampade impero.
Un maxi schermo dietro la band proietta tutto ciò che succede e lo rende visibile ad almeno un altro migliaio di fedeli in piedi oltre i dodici blocchi.
La band pop-gospel è bene assortita: un cantante, otto coriste, batteria, percussioni, pianoforte, due tastiere, chitarra, basso, fiati. Sul semicerchio delle sedute corre una balconata che somiglia più ad un’enorme terrazza spiovente, gremita almeno un altro paio di migliaia di persone che si affacciano sullo sfarzoso scenario della hall principale.
Una ragazza molto giovane si alza dalla prima fila di fedeli della colonna più a sinistra e viene avvicinata da due assistenti del ministro con i microfoni in mano e dal cameraman. Ognuno sa già perfettamente cosa fare.
La ragazza molto giovane è accompagnata da una donna anziana che è sua nonna e che piange molto. Quando l’uomo con la camicia gialla a quadri bianchi posa la mano sulla fronte della donna, questa cade a terra supina e comincia a contorcersi come se qualcosa dentro di lei spingesse per uscire, bruciandole le viscere e flettendole violentemente la spina dorsale verso l’alto, in un arco che rivela le linee e i vuoti e i pieni del corpo della giovane.
“I free you in the Name of Jesus Christ!” urla il predicatore, ma senza perdere la calma. Le coriste armonizzano con l’organo un crescendo drammatico durante l’esorcismo.
“I free you from the evil spirits in the Name of Jesus Christ!” Il Ministro sorride tra una formula e l’altra, sicuro del fatto suo.
Pronuncia tutte le parole scandendole con solennità, a parte il nome di Gesù Cristo. Quando dice “Jesus Christ” la voce impenna e frena rapidamente come se la formula fosse sottoposta ad una circonflessione. Alza la tonalità sulla sillaba “Gi-”, mentre cala bruscamente sul resto che viene quasi masticato: “-s’scrai”.
Il cameraman riprende tutto, zooma sul volto della ragazza a terra quando gli occhi le si eclissano dietro le palpebre, la bocca le si deforma in una smorfia diabolica, vomita. Dalla regia si ha la prontezza di far apparire una scritta sullo schermo “THIS GIRL HAS EVIL SPIRITS INSIDE HER”. Siamo anche in diretta web.
“I free you in the Name of Jesus Christ!”. Tuona ancora il ministro e qualcuno dalla regia ha aggiunto una punta di eco sul canale di ritorno del microfono. “ -s’scrai -ai -ai”. La nonna piange, ondeggia, batte le mani e canta.
Millesetteceventotto voci ricolme di Spirito Santo, giù nella hall, gridano in responsione “Emmanuel! God with us!” battendo piedi sulla moquette. Il volume è spaventoso, la vibrazione del suolo impressionante. Sulla balconata gli oltre duemila fedeli si alzano in piedi con le mani in alto “Emmanuel, God with us!”
Migliaia di corpi nominalmente fedeli al Cristo sono assaliti da un turbamento dionisiaco, tutto pagano, che traccia in pochi istanti una linea di fuga lunga millenni in avanti e all’indietro. Sono un corpo unico che si fa meccanismo per danzare e per cantare, congegno orgiastico che gode senza bisogno di toccarsi. 133 hostess si aggirano, danzando esse stesse come menadi, fra donne e uomini ebbri e liberati dalla storia del proprio corpo e ciascuna reca un terminale di pagamento wireless per le offerte. Nel momento in cui la carta viene appoggiata sullo schermo contactless ogni corpo diventa un flusso che scorre attraverso una carta magnetizzata, attraverso la macchina e le reti e comunica e infonde la medesima euforia ad un conto bancario off-shore. L’edificio stesso ha un fremito, come di un passo di danza vitale e scomposto.
L’uomo con la camicia gialla a quadri bianchi distoglie lo sguardo dalla telecamere e fissa la galleria. Gli pare che in quell’alzarsi unanime ed estatico della balconata vi sia qualcosa di più fanatico del solito. Gli pare che tutti quei fedeli si slancino verso di lui e non singolarmente, bensì in un moto generale, in un’onda che non si capisce bene se cresca issando le retrovie o precipitando le prime file. I millesettecentovettotto fedeli della sala si voltano anch’essi verso gli incombenti sodali del registro superiore, ma sono a loro volta attratti da un fenomeno più interessante. Il soffitto dell’edifico sembra animarsi, diventare un corpo elastico in cui qualcuno insuffli il proprio respiro.
Per tutti, è questione di un attimo.
Pochi secondi dopo l’intero consesso risulta schiacciato sotto le macerie e nessun suono di devastazione si ode durante lo sconquasso dell’enorme chiesa-hangar, poiché esso avviene durante il terzo o quarto fragoroso “Emmanuel, God with us!”
